Quando percorriamo lo scaffale della pasta al supermercato, ci troviamo di fronte a una giungla di confezioni che promettono qualità superiore, tradizione e autenticità. Alcune di queste paste costano il triplo rispetto ad altre, sfoggiando packaging rustici, fotografie di campi di grano dorato e claim evocativi. Ma cosa si nasconde realmente dietro queste promesse? In molti casi, la differenza di prezzo riflette soprattutto il posizionamento di marca e gli investimenti in marketing, più che differenze proporzionali nei costi di produzione o negli ingredienti.
Il fascino ingannevole del packaging tradizionale
Le confezioni color cartone, i caratteri che imitano la scrittura a mano, le immagini di mulini storici e paesaggi rurali: tutto studiato per attivare nella nostra mente l’idea di artigianalità. Questo tipo di packaging comunica immediatamente “fatto con cura”, “piccola produzione”, “metodi antichi”. Gli studi di marketing mostrano che elementi visivi rustici e artigianali aumentano la percezione di qualità e di autenticità, anche quando il prodotto è industriale.
La realtà produttiva spesso racconta una storia diversa: numerosi marchi di pasta appartengono agli stessi grandi gruppi e vengono realizzati in pochi stabilimenti che producono per più brand, con processi standardizzati. La differenza, in molti casi, è principalmente l’investimento nel design della confezione e nella comunicazione, non necessariamente nella qualità intrinseca del contenuto.
Claim ambigui: quando le parole dicono tutto e niente
Frasi come “come una volta”, “secondo tradizione”, “ricetta della nonna” o “metodo antico” popolano le confezioni di pasta che si posizionano nella fascia premium. Il problema è che questi claim non sono definizioni legali precise come “biologico” o “integrale”: la normativa europea stabilisce criteri rigorosi per indicazioni nutrizionali e sulla salute e per termini come “bio” o “organic”, mentre riferimenti generici alla tradizione rientrano nella comunicazione di marketing e non in categorie regolamentate con specifici requisiti tecnici.
Cosa significa esattamente “come una volta”? Non esiste uno standard normativo che lo definisca. Queste espressioni fanno leva su nostalgia e desiderio di genuinità, ma non garantiscono di per sé una reale differenza misurabile nel processo produttivo o nella materia prima.
La trafilatura al bronzo: non sempre sinonimo di qualità
Uno dei claim più diffusi riguarda la trafilatura al bronzo, presentata come caratteristica distintiva di una pasta superiore. La letteratura tecnica conferma che le trafile in bronzo producono una superficie più ruvida, che aumenta la capacità della pasta di trattenere il condimento rispetto alle trafile in teflon o acciaio, che danno una superficie più liscia.
Tuttavia, la trafilatura al bronzo non fornisce informazioni sulla qualità del grano, sul contenuto proteico, sulla forza del glutine o sul controllo della filiera. Non dice nulla sui tempi e sulle temperature di essiccazione, che incidono su consistenza e tenuta in cottura. È un processo utilizzato sia da marchi premium sia da produttori di fascia media: in alcuni casi è semplicemente meno enfatizzato sul packaging nei prodotti più economici.
Il grano: l’ingrediente su cui si gioca la confusione
Leggendo le etichette, scopriamo che molte paste premium utilizzano esattamente gli stessi ingredienti di base di quelle economiche: semola di grano duro e acqua, come previsto dalla normativa per la pasta di semola in Italia. Alcune aggiungono specifiche geografiche come “grano italiano” o “grano selezionato”.
Indicazioni come “100% grano italiano” sono disciplinate dai regolamenti europei sull’origine degli alimenti: l’indicazione dell’origine è obbligatoria secondo regole precise, ma non esiste una correlazione automatica tra origine nazionale e qualità superiore. Il grano può essere italiano ma di qualità medio-bassa, ad esempio con minore contenuto proteico, o provenire da miscele di lotti diversi. La qualità dipende da cultivar, contenuto proteico, condizioni agronomiche e processi di molitura, non solo dall’origine geografica.
È inoltre documentato che alcuni grandi mulini e gruppi industriali forniscano semole a più marchi diversi: paste apparentemente concorrenti possono provenire dalla stessa filiera di macinazione, con farine molto simili, differenziandosi soprattutto per brand e posizionamento di prezzo.
L’essiccazione lenta: un dettaglio spesso sovrastimato
Un altro cavallo di battaglia del marketing della pasta è l’essiccazione lenta a basse temperature. Processi lenti, che superano le 24-48 ore a temperature più contenute, vengono spesso contrapposti alle essiccazioni rapide ad alta temperatura.

Studi tecnologici sulla pasta mostrano che l’essiccazione ad alta temperatura può migliorare la tenuta in cottura e ridurre la collosità, ma può modificare alcune caratteristiche proteiche. L’essiccazione più lenta a temperature moderate può preservare alcune caratteristiche sensoriali e cromatiche diverse, ma l’effetto percepibile per il consumatore medio non è sempre netto o univoco e dipende anche dalla qualità della semola e dalla formulazione.
L’essiccazione lenta è una scelta tecnologica, non automaticamente una garanzia assoluta di pasta migliore: l’impatto sulla percezione al palato è spesso minore di quanto il marketing suggerisca e va valutato insieme a qualità del grano, contenuto proteico e controllo di processo.
Come difendersi: gli strumenti del consumatore consapevole
La prima arma a disposizione è l’etichetta. Oltre la confezione accattivante, è fondamentale verificare cosa effettivamente contiene il prodotto e chi lo produce. Nel caso della pasta secca di semola, l’ingrediente base è quasi sempre solo semola di grano duro e acqua, quindi grandi differenze di prezzo non possono essere spiegate da ingredienti più costosi, ma da fattori come branding, lavorazioni specifiche, filiere certificate o distribuzione.
Il consumatore dovrebbe chiedersi se il sovrapprezzo è giustificato da elementi verificabili come certificazioni, origine tracciata, contenuto proteico dichiarato, marchio DOP o IGP, e non solo dall’immagine.
Indicazioni concrete per una scelta informata
- Verificare la presenza di certificazioni reali: DOP, IGP e biologico certificato sono disciplinati da regolamenti europei specifici e implicano controlli e disciplinari precisi, a differenza di claim generici come “tradizionale” o “artigianale”
- Confrontare le tabelle nutrizionali: molte paste di semola mostrano valori molto simili di proteine, carboidrati e fibre per 100 grammi; differenze contenute indicano l’uso di materie prime con caratteristiche nutrizionali comparabili
- Controllare il produttore effettivo: la normativa europea sull’etichettatura impone l’indicazione del responsabile dell’immissione sul mercato e, in molti casi, del luogo di produzione o confezionamento
- Valutare criticamente i prezzi molto elevati: una pasta secca di qualità può costare più di quella base per via di semole con maggiore contenuto proteico o filiera tracciata, ma un prezzo doppio o triplo non è automaticamente indice di differenza qualitativa proporzionale
- Testare personalmente: studi di consumer science mostrano che, in test alla cieca, la capacità di distinguere prodotti simili è spesso limitata
Il vero valore sta nella consapevolezza
Non si tratta di demonizzare le paste più costose o di affermare che tutte le paste siano identiche. Esistono produttori che investono realmente in semole con più alto contenuto proteico e glutine di qualità, filiere controllate e tracciate attraverso contratti di filiera con agricoltori, certificazioni di origine o biologiche, e processi produttivi più accurati documentati.
Il punto è distinguere chi offre qualità documentata da chi vende principalmente un’immagine. La pasta rimane uno degli alimenti relativamente più accessibili: anche prodotti di fascia media, ottenuti da buona semola di grano duro e processi corretti, possono offrire ottime prestazioni in termini di tenuta in cottura e gradimento sensoriale.
La prossima volta che vi trovate davanti allo scaffale, prendetevi un minuto in più: girate la confezione, leggete gli ingredienti, controllate origine del grano quando indicata, produttore, certificazioni e valori nutrizionali, e confrontate i prezzi. Quella pasta dal packaging rustico e dal nome evocativo potrebbe contenere una semola molto simile a quella di un prodotto accanto che costa sensibilmente meno. La differenza, spesso, è nel brand e nella narrazione più che nella composizione.
Per il consumatore, il vero lusso non è pagare di più, ma sapere per cosa si sta pagando e scegliere con criteri basati su informazioni verificabili, non solo su impressioni visive e claim suggestivi.
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